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la Conoscenza non riempie un vaso….accende un fuoco

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la Cerca XXXIII

Non era ancora l’alba, e la nebbia non si era del tutto levata dal lago, Lamberto, essendo il giorno del suo onomastico, voleva fare una piccola sorpresa ai suoi ospiti ed aveva incaricato Giovanni di scendere in paese per provvedere ai dolci tradizionali ed al vino tipico della zona; lui si sarebbe occupato dei fiori per abbellire la casa e la tavola. Certo, gli sarebbe piaciuto che Joséphine, che aveva ammirato molto il suo giardino, lo aiutasse nella raccolta e nella composizione di vasi, ma era preferibile che riposasse fino a tardi, così avrebbe potuto recuperare le forze nella pace e nel silenzio della campagna. A quel proposito gli venne in mente un’antica leggenda che narrava di una principessa malata che venne ospitata da un fattore e da sua moglie, che in breve tempo, a furia di pranzetti deliziosi e di cure amorevoli, riuscirono a farle ritornare con le forze, l’antica bellezza, e con essa anche l’amore di un giovane che viveva lì.

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la Cerca XXXII

 “Il pesce, sì, ed anche la pesca, l’occupazione dei discepoli di Gesù prima della chiamata, pescatori di lago – osservò Petros – il pesce incarna vari livelli di simbolismo: agli albori della chiesa era l’emblema di Cristo, ancor prima nella forma simbolica della vesica piscis, appartiene al sistema iniziatico egizio e si collega al geroglifico della vita, l’ankh, ma ha anche, e soprattutto un significato astrologico, cosmico, collegato al fenomeno della precessione degli equinozi dal momento che per circa duemila anni, il Sole di primavera è sorto nella costellazione dei Pesci. Continua a leggere “la Cerca XXXII”

la Cerca XXXI

La villa settecentesca del Conte Lamberto sorgeva sopra un’altura, al fondo di un viale lunghissimo, snodato attraverso la macchia, appariva alla vista dell’ospite come il miracolo di una nuvola in cielo, bianca ed elegante, circondata di piante secolari, il suo confine si perdeva dentro un bosco di castagni e, verso il viale, si protendeva lo scalone ammantato di rose, le tenere silenziose amiche del Conte, compagne di ogni suo conversare. L’interno aveva subito numerosi rifacimenti (non sempre condivisi ma mai osteggiati) ad opera di coloro che si erano avvicendati nell’abitarla; solo le stanze private del Conte erano rimaste quelle di un tempo e pochissimi vi avevano accesso. Lamberto usava ricevere gli ospiti nell’ampio soggiorno che dava sul terrazzo ed affacciava sul lago dove la nebbia perpetua, esalata dalle acque, si fondeva con il prossimo orizzonte azzurrino.

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la Cerca XXX

“Petros, ho preparato la colazione da due ore, non osavo svegliarti, lo sai che sono quasi le dieci del mattino?” il conte Lamberto vincendo la sua naturale riservatezza era entrato nella stanza di Petros e stava vicino al letto con lo sguardo di chi è preoccupato per qualcuno a cui vuole bene, fermò il braccio poco distante dalla spalla del giovane amico e chiuse a mano in un pugno semi aperto che non riuscì a trasformare, per pudore, nel tocco di una carezza.

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la Cerca XXIX

“Io volevo solo sottolineare che in qualunque rapporto con qualsiasi altro essere, sia esso fisicamente intimo o meno, oppure con qualsiasi gruppo con cui ci poniamo in relazione, c’è uno scambio di forza sottile. Jo, ma io non voglio parlare con te di queste cose. Voglio che tu mi dica che stai bene e che, insomma, che stiamo bene assieme, come… prima”.
Petros esitava, adesso si sentiva come un ragazzino che non sia capace di trovare le parole, sentiva il tono della sua voce che si abbassava e si alzava come se non fosse capace di rimanere in equilibrio su filo dell’emozione. Oppure, forse non riusciva a controllare l’emozione? Erano sospiri quelli che stava facendo?

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la Cerca XXVIII

“Un giorno, ero ancora a corte, e il tempo della fine si era già annunciato alle nostre orecchie sorde, quando giunse un eremita e pose una domanda alla quale nessuno seppe rispondere: Perché nella Tavola Rotonda c’è un posto che viene lasciato libero? Artù rispose che era noto a tutti che vi era solo una persona destinata ad esso, e che poteva farlo senza essere distrutta, ma nessuno, però sapeva chi avrebbe avuto tale destino o per quale ragione. L’eremita rivelò, allora che il posto era riservato ad un individuo non ancora nato, che avrebbe conquistato il santo Graal.

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la Cerca XXVII

Petros accostò al distributore sul lato della strada e, lasciata la macchina per il rifornimento, si sedette ad aspettare che il suo compagno di viaggio si accomodasse vicino a lui al tavolo: “Ho ordinato uno spuntino per tutti e due, ho fatto male?”

“No, va bene anche per me, qualsiasi cosa tu abbia chiesto”.

Consumarono la merenda con calma, nel silenzio della familiarità: da situazioni come queste deriva il detto popolare usato, per allontanare chi voglia troppo entrare nella nostra sfera privata “abbiamo mai mangiato, insieme, noi due?” proprio a voler sottolineare come la condivisione della mensa sia sempre una forma di comunione con l’altro, un rito di unione alla vita dell’altro, attraverso la sacralità del dividersi il nutrimento.

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la Cerca XXVI

La linea marittima Swansea-Cork Ferries effettua il tragitto in dodici ore, il tempo di una lunghissima notte per Petros, durante la quale, egli ebbe il tempo di farsi un’idea meglio approfondita del passato, del territorio che lo aspettava, e leggendo la sua guida scoprì che le antiche province irlandesi Ulster, Munster, Leinster e Connacht dividono la terra approssimativamente secondo i punti cardinali. Il porto del suo sbarco, la città di Cork, sorge su di un’isola che abbraccia i due canali del fiume Lee.

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la Cerca XXV

La montagna, come il dorso di una immensa cicogna bianca addormentata, si ergeva nel piano, calcinata dal sole, la sua cima non si era mai specchiata nei laghi gemelli, nati dall’unione di acque celesti e terrestri, spalancati come iridi blu, ai suoi piedi; l’ingresso delle grotte digradava lentamente verso le rive, in rime di sabbia di tutti i colori del bianco, e del grigio, un vento leggero sibilava tra gli anfratti di roccia con un movimento alterno, di notte e di giorno. Dalla fortezza pietrosa, nelle notti di plenilunio, usciva danzando un serpente e scivolava nel lago, svolgendo le sue spire verso l’abisso profondo; all’alba, una donna di immane bellezza, emergeva dalle acque e ritornava alla frescura della grotta che proteggeva la sua sapienza, si ergeva sul suo trono, vestita di una ricchezza che non poteva avere paragone e sembrava la Signora di tutta la terra. Il regno sul quale governava, dentro la cavità del monte, dove talora qualche cavaliere si inoltrava, trascorrendovi del tempo, conteneva tali e tanti tesori che non si poteva desiderarne di più. Nessuno aveva mai conosciuto il suo nome, e gli ignari che osarono chiederlo, lo sentirono fuggire sull’ala battente del vento, senza poterlo comprendere.

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la Cerca XXIV

Prese, proprio il giorno precedente alla telefonata di Pericle, la decisione di partire nuovamente, avrebbe rifatto il viaggio per mare, questa volta da solo, la sua meta l’Irlanda, il suo scopo comprendere il punto di unione della tradizione cristiana con quella celtica, il vero ruolo di Merlino, di Artù, di Ginevra, che cosa fosse il Graal. Nella sua mente troppe cose si affollavano e quel turbine doveva sedarsi, divenire lento e piano come il vento.

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la Cerca XXIII

Hanno voluto accompagnarmi a visitare la loro terra, devono amarla molto, pensa che Nimue, seduta accanto a me, nel carro che ci portava, come una vecchia amica mi ha confidato come incontrò Merlino quando era ancora una ragazza e lui nel vederla la paragonò ad un fiore delicato e, con quella poesia che anima ogni cuore innamorato, le disse, parlando in terza persona, emozionato: “Quando Nimue, la fanciulla della Terra, avrà appreso tutta la dottrina astrale di Merlino, e Merlino avrà assimilato l’insegnamento terreno di Nimue, allora i due andranno mano nella mano in un matrimonio cosmico verso le stelle, portando con sé i figli della Terra”. Lei trema ancora quando parla di queste cose, anche se è una fata ed un’iniziatrice ai misteri interiori… e io la capisco.

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la Cerca XXII

“Fate avanzare fino a me la signora dai lunghi capelli, disse Merlino, mentre con un gesto sottolineava il comando, teneva l’altra mano in quella di Nimue, in piedi accanto a lui, con l’abito colore di acqua profonda sollevato dalla brezza leggera che entrava, attraverso i finestroni della reggia sacra, dimora del Mago, dal Lago, sono certo che viene da molto lontano, il suo passo è lento ed i suoi begli occhi appaiono tristi.”

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la Cerca XXI

Intanto molta gente si avviava verso la piazza, stava avanzando piena di attese, la sera con le sue luci, a gara con le prime stelle, e con la sera cominciava la festa. L’orchestra accordava gli strumenti, le voci diventavano più acute e poi più gravi, il ballo ha la sua magia ed essa prende tutti all’improvviso, anche se ci si è molto preparati. Due ragazzine animatissime corsero avanti a Petros, superandolo e sfiorandolo per un pelo, si rincorrevano a vicenda e dicevano che stavano per arrivare il re e la regina del ballo…

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la Cerca XX

Intanto sorseggiavano il loro tea, intercalavano al racconto eterno, questioni di casa e di cucina, come se la vita passasse di là ed intrecciasse raccolti ed uccisioni, il pane dentro il forno, il sangue sulle soglie, il silenzio dei funerali ed il borbottio dell’acqua che bolle.

Petros aveva trovato posto sopra una panca vicino alla finestra, si appoggiò al muro di pietra, con i capelli confusi tra i rami di caprifoglio, si sentiva attraversato dalle parole di quelle donne, dai suoi pensieri e dal profumo dei fiori. Lo ricordava ancora il profumo di Joséphine, chissà se in quell’ospedale le davano anche quelle piccole cure di bellezza o se invece ci pensava Paoletto a pettinarla e a metterle una goccia di profumo?

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la Cerca XIX

I due Cavalieri che fino a quel momento non avevano ancora parlato, stavano, l’uno ravvivando la brace e l’altro ancora pizzicando le corde dell’arpa, scaturendone suoni che si disperdevano rimbalzando sulle pareti della grotta di cristallo. Il più cupo dei due, a tratti mandava sguardi acutissimi da sotto le sopracciglia unite come seguendo la linea di luce che la brace riattizzata lanciava verso le pareti, proprio dove andavano a depositarsi i suoi pensieri e i suoi ricordi. Il più giovane, suonando l’arpa, tentò due versi in rima, per riscuotere il compagno dal suo silenzio, con un sorriso, conscio che non si trattasse di poesia, ma di una forma di affetto, un po’ complice, un po’ simpatico, da compagno di armi e amico: “Narra anche tu, Agravain l’Orgoglioso, narraci la tua storia, cavaliere generoso…”

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la Cerca XVIII

“A che cosa stai pensando, Petros, hai gli occhi bassi e fissi un luogo che non c’è – disse amabilmente Lamberto – forse pensi a qualcuno, anche se non occorre che tu me lo dica, se non vuoi, è ugualmente chiaro che dentro la tua forza serena trema un filo di inquietudine per qualcuno che è lontano, pur essendo vicinissimo al tuo cuore”.

Petros scosse leggermente la testa piegando la bocca in un sorriso ondulato come la nostalgia: “Grazie, Lamberto, parliamo d’altro se ti va, ci sono cose che possiamo controllare solo se rimangono chiuse nel nostro cuore e tengono il posto del nostro segreto. Se volessi o dovessi dirti di che si tratta, certamente ne sarei consolato, ma il segreto svanirebbe e perderebbe tutto il suo valore…”

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la Cerca XVII

*
“Morgana, Morgana, avvicinati, per favore, avvicinati anche tu – gridò Elaine con apprensione in direzione della sorella velata e solitaria, cupa, eternamente aggrondata, la fronte bianchissima spazzata dalle ciocche di capelli neri che si muovevano nel vento come serpenti incantati, con quegli occhi che mandavano saette colore di smeraldo da sotto le ciglia lunghissime che si alzavano e si abbassavano con stupefacente fascinosa lentezza. Lei aveva già visto prima delle altre due sorelle emergere dalla curva dell’orizzonte la nave oscura dai brandelli di vela che sbattevano come bende infette nel vento, lei aveva già visto e già sapeva che su quella nave giaceva il corpo ferito di Artù.

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la Cerca XVI

“Pericle, ascoltami, ormai ho intrapreso questo viaggio con te verso Londra, va tutto benissimo, tuttavia, andiamo ad immergerci, in un territorio che, rispetto a quello che stiamo cercando ci dirà molte cose, ma quello che c’è oltre, ovviamente la cosa più importante, non sarà in Inghilterra, ma in Irlanda…”
Pericle esultò: “Oh finalmente ti riconosco, ragazzone, che deduzione spettacolare: ma ti pareva che proprio io non ti portavo in Irlanda! Londra e dintorni ci servono solo come tappa del nostro cammino per raggiungere un certo livello di consapevolezza, poi bisogna che facciamo il salto di qualità e che diventiamo anche noi come Merlino, druidi, cioè coloro che vedono oltre. Anzi siccome io sono leggermente più vecchio di te, anche se non si direbbe, adesso mi reclino questa bellissima poltrona di business class e tu mi racconti tutto quello che sai dell’Irlanda, mentre io ti ascolto deliziato e se mi addormento, vuol dire che è colpa tua che non mi hai saputo tenere sveglio.”

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la Cerca XV

Il breve saggio di Bruno, si apriva, come al solito, con un’epigrafe poetica, tratta da un verso di William Blake: “Il gigante Albione fu patriarca dell’Atlantico; è l’Atlas dei Greci, uno di quelli che i Greci chiamavano Titani. Le storie di Artù sono gli atti di Albione…
Il breve saggio, oggetto della massima attenzione da parte del Conte Lamberto, proseguiva in questo modo: esiste una presa di coscienza negli antichi miti greci dei Titani, le divinità precedenti al pantheon dell’Olimpo di Zeus e delle dee e degli dei classici. I poteri e la conoscenza rappresentati dai Titani sono quelli di un’epoca precedente, ed è questo che, nella tradizione, viene chiamato “periodo Atlantico. La tradizione arturiana incarna una formula atlantica di esperienze iniziatiche, poiché la Tavola Rotonda ed il santo Graal sono, nella loro essenza, simboli di queste. La Tavola Rotonda sta a significare l’universo e tutti i poteri interni presenti in esso. All’occhio esterno si tratta della sfera delle stelle e dello spazio interstellare, all’occhio interno, è tutto questo e molto di più.

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la Cerca XIV

Una bella gradinata di marmo, l’ampio corrimano e la balaustra coperti di roselline rampicanti; ma quelle no, il Conte non voleva che fossero potate, giusto una volta l’anno, prima del boccio. Le rose erano di suo esclusivo dominio, ed ogni pomeriggio, con cestino, guantoni e cesoie, un panama d’estate e un berretto d’inverno, il Conte Lamberto Adoni Mira, scendeva nel giardino a potare le sue delicatissime, amate, fulgide rose. Era un vecchio di una bellezza radiosa, non piegato dagli oltre nove decenni che le sue spalle portavano, occhi nero blu sotto una fronte serena, spesso socchiusi in un leggero sorriso che le labbra ed il mento accompagnavano, una voce franca e nello stesso tempo delicata come un sussurro di ninna nanna, il profilo preciso e lo sguardo volto sempre alla serenità, alla pace intorno a sé come a quella dentro di sé. E poi quell’amore per le rose… non aveva mai fatto ibridazioni, felice che si sviluppassero secondo la natura: toglieva qua e là una fogliolina secca, un bocciolo marcito, i petali ormai ridotti a stanche farfalle giganti. E molto spesso, alle sue rose, silenziosamente, il conte Lamberto parlava. Mai stanco di condurre le sue ricerche e le riflessioni cui dedicava gran parte della notte, temprato dalla fatica della conoscenza e dal rigore quotidiano, parco nel cibo e nel vino, aveva la gioia autentica della convivialità: chiunque fosse stato suo ospite, avrebbe fatto suo con il gusto e il profumo della sua mensa, un nutrimento spirituale profondo e durevole, come la semplicità. Della sua vita si sapeva molto poco in città, da tempo si era ritirato nel feudo di famiglia poco distante dal centro, ma lontano quanto bastava perché le stelle, di notte, non fossero offuscate dal rumore e dalle luci fredde della metropoli.

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