Il mondo degli atomi e delle particelle subatomiche è interpretato dalla fisica quantistica, quella messa a punto da Bohr, Heisenberg e colleghi. La loro interpretazione dei fatti sperimentali, che coinvolgevano gli atomi, è nota come interpretazione di Copenaghen, e ad essa faremo riferimento.

È un dato di fatto, che ogni elemento del mondo sottile (elettroni, neutroni, fotoni, particelle. ecc.) rivela una doppia e contraddittoria natura (il principio di complementarietà di Bohr): ogni elemento si palesa sia come un corpuscolo (localizzato in un preciso punto dello spazio), sia come un‘onda (estesa nello spazio fin dove possibile).
Secondo l‘interpretazione di Copenaghen, il corpuscolo è quello che ha una realtà fisica, come comunemente l’intendiamo. È cioè possibile misurare alcune sue priorità (non tutte, come dice il principio di indeterminazione di Heisenberg), ed è quindi qualcosa che possiamo in qualche modo “vedere” e “toccare”, qualcosa connessa con l’esistenza materiale della particella stessa.

L’aspetto ondulatorio di una particella… che in fisica viene definita funzione d’onda, ha invece un significato diverso. Essa rappresenta l’insieme delle possibilità di esistenza di una particella, l’insieme dei possibili modi in cui una particella può manifestarsi. La funzione d‘onda non ha realtà fisica, come comunemente l’intendiamo, ma non è nemmeno illusoria: contiene info sulle possibilità che potrebbero verificarsi, sulle tendenze, sulle potenzialità delle particelle.

È solo quando facciamo un atto di osservazione, un esperimento, che la funzione d’onda si “materializza “, si concretizza in un’unica realtà fisica, cioè in una particella con determinate caratteristiche. È solo durante l‘atto dell’osservazione che si ha il passaggio dal possibile al reale e, di tutte le potenzialità della particella, solo una si materializza nell’esperimento.
Possiamo predire, attraverso l‘equazione di Schroedinger, l’evolversi della funzione d‘onda, l‘evolversi degli eventi possibili; possiamo agire su di lei, modificandola; in questo senso la funzione d‘onda è oggettiva e per essa vale il principio di causa-effetto, in una situazione analoga a quella della meccanica classica.
Ma rimane pur sempre un complesso di eventi possibili; è solo quando facciamo un’osservazione che, fra tutti gli eventi possibili compresi nella funzione d‘onda, si determina quello che ha realmente luogo.
Possiamo ripetere più volte una stessa osservazione sperimentale, e ogni volta avremo la “materializzazione” di una qualche potenzialità della particella. Ma non possiamo dire proprio niente su quello che è accaduto fra due osservazioni successive.
In questo intervallo di tempo la particella potrebbe anche non esistere, almeno come realtà fisica; potrebbe esistere solo come potenzialità, come evento possibile in attesa di qualcosa che la concretizzi, facendola apparire nel nostro mondo.
E non è detto che quando ripetiamo l’osservazione si manifesti ancora lo stesso evento, non è detto che la particella ci appaia come ci era apparsa nell’osservazione precedente.
Per capire meglio la cosa, facciamo un esempio che, anche se un po’ assurdo dal punto di vista della fisica, spero sia abbastanza semplice e chiaro.
Supponiamo che una particella abbia la possibilità di assumere dieci colori diversi. Tutte queste dieci possibilità sono comprese nella funzione d’onda della particella.
Quando facciamo un esperimento, la funzione d’onda interagisce con l’apparato sperimentale, e quindi con noi che osserviamo il fenomeno, e per effetto di questa interazione si manifesta, si “materializza”, un determinato colore, ad esempio il blu.
Se, dopo un po’, ripetiamo la stessa identica osservazione, si ha nuovamente l’interazione della funzione d’onda con l‘apparato sperimentale e quindi si “materializza” nuovamente una delle dieci possibilità, uno dei dieci colori; ma non è affatto detto che questo colore sia lo stesso di prima: potrebbe essere il rosso.
Che cos’é che determina il fatto che prima abbiamo osservato il blu e dopo il rosso?
Non lo sappiamo e non abbiamo modo di saperlo; per l’interpretazione di Copenaghen è il puro caso, che diventa elemento fondamentale del modo in cui la natura si manifesta alle nostre osservazioni.
Tuttavia possiamo ripetere un mucchio di volte le osservazioni sperimentali e quindi esaminare i dati su base statistica; inoltre, in ogni esperimento sono coinvolte un numero enorme di particelle, e questo rende il calcolo probabilistico molto accurato.
Su queste basi, la teoria quantistica ci permette di avere qualche risposta certa del mondo degli atomi, ad esempio i livelli di energia degli elettroni di un atomo. Ed offre pure risultati straordinariamente precisi e, da questa precisione, derivano un mucchio di applicazioni tecnologiche importanti che utilizziamo ogni giorno, senza saper nulla della quantistica e dei suoi problemi.
Ma, se ci chiediamo dove è andato a finire un certo elettrone, la teoria quantistica non ci offre alcuna certezza; può solo dirci che è più probabile che sia là piuttosto che qua. L’unica cosa certa è che nella meccanica quantistica misurare é tirare a sorte.
Ancora una volta ci troviamo di fronte allo strano modo in cui possiamo conoscere la natura; siamo capaci di calcolare e prevedere il comportamento di una moltitudine, ma non sappiamo dire nulla su quello che accade al singolo: per lui, il caso resta sovrano.
Questa impostazione concettuale, che riconosceva al caso un ruolo determinante, non è mai stata accettata da alcuni scienziati, fra cui Louis De Broglie, uno dei fondatori della quantistica, ed Einstein.

Essi ritenevano che la meccanica quantistica fosse incompleta e che l’aspetto statistico della realtà fisica venisse fuori perché si era ancora trascurato qualcosa. Ma ancora oggi questo qualcosa non è stato trovato e il caso resta un fattore fondamentale nella fisica quantistica.