Per quanto la vita di Padre Vittorio sia un esempio di dedizione e di sacrificio di sé per la salvezza delle anime e per la guarigione dalla sofferenza, per quanto egli sia ritenuto dai suoi amici devoti il tramite diretto e splendente della misericordia divina, egli è fortemente uomo di Chiesa, obbediente due volte, come francescano e come religioso. Non trovo opportuno affrontare con lui simili questioni, a che pro turbarlo o sindacare nel merito di un voto trascendente persino le più pure intenzioni della mia ricerca?
“Mi chiedevo quale fosse realmente, a quel tempo, lo stato del clero tanto da spingere tale folla di persone verso un’esigenza di spiritualità così intensa…


“Vedi – risponde lui tossendo con due colpi decisi – il clero a quei tempi predicava assai poco; di solito erano i vescovi a predicare ed anche la messa veniva detta poche volte l’anno. Inoltre l’uso della lingua latina rendeva alla gente del tutto incomprensibile il contenuto di qualsiasi discorso religioso; per tal motivo esse accolsero con estremo favore il diffondersi della predica in volgare, quella che praticavano i gruppi pauperistici, come i Valdesi che hai studiato tu, ma le autorità ecclesiastiche, dal canto loro, non potevano accettare che la predica venisse pronunciata da persone prive di cultura, che chissà se avevano la Bibbia, ed i Vangeli, e sicuramente non erano addottrinate in filosofia e teologia: infatti, come si poteva essere certi che un laico, improvvisato predicatore, andando di piazza in piazza ed erigendo il suo telaio verticale, come i Catari, oppure facendo un qualsiasi altro mestiere o arte a servizio del prossimo, non diffondesse spropositi od addirittura pericolose eresie?

Infatti fu proprio grazie alla visione di Domenico di Guzman che ebbe avvio quello che potremmo chiamare il metodo della predicazione come pratica catechistica e sistema di rafforzamento dell’autorità della Chiesa. Il ruolo di San Domenico e dei suoi, fu proprio quello di contrastare i liberi predicatori laici, aderenti al pauperismo ideale di quegli anni, con grandi prediche vibranti di emozione e di sdegno che raccoglievano nelle chiese e nelle piazze molto numerose persone…”
“Appelli oceanici che ricordano da vicino quelle che nei secoli seguenti saranno le grandi kermesse degli auto da fè...”
“Polemizzi a ragione a volte, figlia mia, ma polemizzi troppo spesso: devi osservare e comprendere invece, che queste sono le ragioni per cui Roma ha sempre preso le distanze dall’ascesi laica, cercando di indirizzarla verso la formazione di ordini religiosi o quanto meno di sottoporla al controllo degli ordini ormai accettati, come ascesi di secondo grado. E sebbene sia vero che l’affermazione del magistero ortodosso della Chiesa, della sua catechesi monopolistica siano passate attraverso l’opera di Domenico, anche in ambito minorita vi è una catechesi del lavoro e della cultura, anche della tanto vessata cultura libresca. In ordine all’attività lavorativa gli storici sono d’accordo nel ritenere che Francesco sapesse a fatica scrivere e che col tempo se ne sia dimenticato, poiché, quando occorreva, firmava con la croce. L’ hai mai vista tu la dedica benedicente che egli dona a Frate Leone, conservata nei musei assisiati, quella inframmezzata dal “tau” che dice “Dominus benedicat f. LeTo te”, una specie di macchia-disegno autografa, della quale Leone era molto fiero!” soggiunge ridendo, come se frate Leone stesso glielo avesse comunicato di persona.

Mentre lui mi parla, ricordo la considerazione in cui era tenuto il lavoro nell’Ordine francescano: per il lato intellettuale, l’incremento della cultura non fu particolarmente incoraggiato; la regola del 1223 -a bollatura papale – dispone che “quelli che non sanno di lettere non si interessino di apprenderle”, però non contiene alcuna restrizione nei confronti di frati desiderosi di addottrinarsi; per il lato manuale, invece, l’atteggiamento assunto dall’Ordine appare oscillante. Per gli anni più avanzati (1210 circa), non esisteva obbligo di lavorare; ognuno doveva fare il mestiere che sapeva, purché onesto; e se non arrivava a guadagnare di che sfamarsi, andasse in giro a chiedere l’elemosina. La Regola del 1221, quella non bollata, contiene ancora la disposizione di lavorare nel mestiere che si esercitava nel mondo laico. Poiché però i frati erano tenuti all’itineranza, cioè a recarsi di paese in paese a predicare il ravvedimento, era impossibile esercitare un lavoro richiedente la stabilità in un certo posto.
“Simile comportamento è esattamente opposto alla Regola benedettina, che isola il monaco dal mondo, mentre la Regola francescana lo proietta nel mondo…” dico io che non vorrei interromperlo, ma mi permetto di intervenire nelle sue parole quando si ferma un momento a riprendere fiato: chiarisco a me stessa molti aspetti, come se fossi sempre di fronte ad uno specchio limpido.