Da sempre l’essere umano ha bisogno di un senso per vivere: che lo ammettiamo e ce ne facciamo attivamente carico, o che lo neghiamo e non ce ne accorgiamo, ognuno di noi ha la necessità di un orientamento, di uno scopo, di una direzione che ci accolga, ci conforti, ci faccia sentire, per quanto funamboli, capaci di condurre una vita che non cede al caos ed allo sconforto.

Quando poi accade di sentirci in balìa dell’imprevedibile ed i punti di riferimento che avevamo vacillano, quando siamo preoccupati per un futuro che non pare più desiderabile ma temibile, si aprono davanti a noi due possibilità: o cadere vittime dell’angoscia e della disperazione od intraprendere un percorso di ricerca spirituale che ci faccia scoprire per cosa vale la pena vivere e come possiamo provare a farlo nonostante tutto. Ci serve insomma una nuova mappa per orientarci nel labirinto dell’esistenza.

Forse proprio per questo, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un grande movimento di ricerca e di rinnovamento spirituale che ha dato vita a numerosissime proposte, facendo espandere la Self-care economy.

Se cercate in rete la parola spiritualità troverete circa 12 milioni di risultati in italiano e 45 milioni in inglese, evidenza del fatto che la tematica è decisamente di interesse attuale.

Ma cos’è la spiritualità?

Possiamo descriverla come la tensione al trascendente, che non necessariamente si identifica con un Dio, come un vissuto di integrazione della persona e di connessione con gli altri, con il mondo e la natura, con l’universo, che può prendere molti volti e molti nomi, oltre che nutrirsi di tante pratiche.

Eravamo abituati a pensare che la religiosità e la spiritualità coincidessero, ma ormai è evidente che le persone, specie i giovani, cercano e vivono la spiritualità al di fuori di una religione, che offre credenze, dogmi, riti che appaiono polverosi e vuoti, per nulla vitali nella loro offerta spirituale.

Se pensiamo poi che gli adulti sono anestetizzati o fortemente inquieti di fronte alle questioni esistenziali e si negano ai dialoghi relativi alla spiritualità, pare ovvia la conseguenza per cui i ragazzi non percepiscono questo modello come funzionale e si mettono alla ricerca di altro. E lo fanno da soli, a modo loro, perché nella nostra cultura sembra che, ai contesti educativi, non interessi occuparsi di salute ed educazione spirituale.

Già Seneca scrisse che per tutta la vita bisogna imparare a vivere ed a morire, e molti filosofi prima e dopo di lui gli fecero eco.

Ma allora perché pochi educano a stare in questa ricerca di un modo di vivere possibile e sostenibile?

La questione è che se non ci prendiamo cura del bisogno di senso e di spiritualità, questa domanda si fa lacerante e genera malessere e disagio; quando invece la si accoglie e la si ascolta, questa inquietudine esistenziale, diviene motore e fonte di trasformazione, apre alla ricerca interiore ed alla consapevolezza.

Perché se tutto vacilla, l’unico modo per cercare punti di appoggio è ripartire da noi stessi. Si torna quindi ad interrogare gli oracoli, come quello di Delfi che invitava alla conoscenza di sé. Si cercano profezie che accolgano le domande e che creino un movimento vitale e propositivo, che possano esplicitare valori di riferimento e tradurli in uno stile di vita possibile.

I giovani abitano un mondo complesso, multiculturale, vogliono meno dogmi e più respiro, per trovare la possibilità di costruire un futuro desiderabile e per poter restare in un presente che va tollerato e attraversato, fino a renderlo bello, nonostante tutto.

Oggi il pellegrino è chi accetta di fare un viaggio nella sua fragilità, nelle sue contraddizioni, tra le sue domande esistenziali e che accetta di camminare alla ricerca di anime affini in viaggio — reale e simbolico — come lei o lui. Cerca visioni, ispirazione e sollievo, realizzazioni possibili di sé e di una forma di mondo anche grazie a linguaggi e simboli universali, che attraversano lo spazio ed il tempo. Forse per questo sono diminuiti i pellegrinaggi da Padre Pio e quelli religiosi in genere e sono aumentate le richieste di lettura del proprio cielo natale o la consultazione dei tarocchi: perché «si prestano facilmente per essere mappe con cui dialogare che, più che dare risposte, fanno domande e disegnano percorsi possibili, nel corso dei quali fermarsi e lasciarsi nuovamente interrogare, magari da nuovi pianeti o ad un livello più profondo e complesso del proprio cielo», dice l’’astrologa Ornella D’Angelo. «I giovani non voglio quasi mai la previsione del futuro per sedare ansie o fare scelte, anche se certo un po’ di conforto e rassicurazione la chiedono: cercano di ampliare una visione della vita che trovano arida e asfittica, cercano di conoscersi e guardarsi in modo diverso da quello che istituzioni e società propongono e chiedono loro».

Il viaggio nell’interiorità prende quindi avvio dal dialogo con i pianeti o con le carte che rappresentano archetipi, figure mitologiche, che arrivano da lontano e parlano ancora a ciascuno di noi. Figure che sono immutabili — come lo sono le domande esistenziali — e che ciascuno rivitalizza e reinterpreta nella propria storia personale, perché attraversa quelle stesse sfide e chiede quelle stesse rinascite.

 Cerchiamo risonanza con qualcosa di antico che sentiamo interpellarci ancora oggi, rimesso in gioco nel nostro tempo, nella nostra biografia e così ci orienta e ci fa sentire interconnessi con l’immensa catena umana che ci ha preceduto e che ci seguirà.

L’immagine del cielo natale, le carte dei tarocchi sul tavolo, sono una mappa con cui fare orienteering: non la visione predeterminata del futuro, ma un percorso possibile per mettersi in moto, senza procedere alla cieca, per trovare un orientamento, una chiave di lettura, sempre da approfondire e da interpretare alla luce delle domande che la vita pone.

I giovani vogliono sempre più essere autori consapevoli di una vita che sentono precaria. Ed è proprio questa precarietà che può muovere, anziché verso la disperazione, nel viaggio della ricerca di sé per addentrarsi nella vita anziché sorvolarla come se non li riguardasse. L’importante è che ognuno di noi possa riuscire a «sopportare e benedire la vita» e questo è l’augurio a tutti noi.