Hanno voluto accompagnarmi a visitare la loro terra, devono amarla molto, pensa che Nimue, seduta accanto a me, nel carro che ci portava, come una vecchia amica mi ha confidato come incontrò Merlino quando era ancora una ragazza e lui nel vederla la paragonò ad un fiore delicato e, con quella poesia che anima ogni cuore innamorato, le disse, parlando in terza persona, emozionato: “Quando Nimue, la fanciulla della Terra, avrà appreso tutta la dottrina astrale di Merlino, e Merlino avrà assimilato l’insegnamento terreno di Nimue, allora i due andranno mano nella mano in un matrimonio cosmico verso le stelle, portando con sé i figli della Terra”. Lei trema ancora quando parla di queste cose, anche se è una fata ed un’iniziatrice ai misteri interiori… e io la capisco.

Ma non mi ha chiesto niente di me, credo che sappia tutto, che tutto comprenda, per me è stato facile limitarmi a sorriderle. Mi hanno portato in un luogo sacro, dove c’è una tomba, ti sarebbe piaciuta tantissimo, pensa che il re vi è sepolto in modo che diventi uno con la terra. Quest’antica tomba preistorica è in posizione elevata. Il re qui sepolto aveva raggiunto la sua fusione con l’ambiente, ed è ancora disponibile come entità interiore per il dialogo e lo scambio di comunicazione. Merlino e Nimue lo hanno evocato e, dopo un contatto iniziale, effettuato sintonizzandosi con il sito per mezzo della meditazione, il re è apparso come un uomo piuttosto anziano, con barba nera e un tatuaggio a spirale sulle guance. All’epoca della sua scomparsa fisica, lui era a capo di una tribù di circa cinquanta persone. Il re disincarnato aveva il compito di comunicare “pace terrena” al suo popolo; questa è un’energia risultante dalla sua fusione con l’ambiente circostante. Lo scopo del dolmen o sepolcro di passaggio è estremamente preciso. Una camera sigillata di pietre massicce, che devono essere superiori ad una certa massa, viene sepolta sotto un tumulo di terra. Questo fa in modo che si verifichino alcuni processi naturali, dovuti direttamente alla forma ed alla natura della struttura stessa. Di solito ciò è favorito dalla conoscenza e dalla cooperazione degli esseri sepolti vivi al suo interno. Lo scopo è il raggiungimento di un’integrazione con l’ambiente circostante. L’effettiva struttura fisica è simile ad un utero, ed è identificata come il ritorno alla Madre. Una volta avvenuto il processo d’integrazione interiore, la camera viene usata per la consultazione e l’iniziazione. L’ingresso avviene attraverso un minuscolo corridoio da percorrere a carponi, di solito sigillato. L’implorante striscia all’interno, e viene lasciato nella totale oscurità a comunicare con il re. Nella tomba, il re è magicamente “ad occidente”, ovvero all’estremità della camera, seduto, ed emana la pienezza della sua consapevolezza, dalla posizione che occupa nel profondo dell’utero.
Sono rimasta molto colpita dal senso del sacro, che emana da questo luogo, ed ho visto anch’io le immagini di coloro che vivi o morti sono entrati nella profondità della terra. Però devo ammettere che provando questa emozione, mi sei mancato tu, avrei voluto condividere con te questa esperienza ed è la prima volta che mi manchi così intensamente. Merlino sa quando e come morirà ed è perfettamente sereno al riguardo; mi ha mostrato un boschetto poco distante, ci siamo recati lì, tutti insieme, tenendoci per mano, Merlino ammantato nella sua veste stellata e nel suo alto copricapo e Nimue, semplicemente vestita nei colori naturali della Terra, il suo abito dei colori dell’acqua, quello che portava a palazzo, qui, nel bosco sacro ha cambiato colore, e lei è apparsa come velata, trasfigurata nella sua bellezza e ogni cosa in lei era così piena d’amore divino che mandava raggi tutto intorno. Mi hanno abbracciato forte forte e una grande energia è entrata dentro di me e mi ha guarito da ogni residuo dolore. Mi hanno regalato degli oggetti, ma io non so se potrò materialmente portarli con me, quando tornerò da qui; sono una lancia e una coppa, una spada e un fodero, per te, credo che vogliano che io li dia a te, ci sono delle scritte su questi doni, non riesco a decifrarle, ma Merlino mi dice che tali elementi sono potenti armi simboliche che costituiscono l’eredità magica dell’uomo; possono essere usati in modo potente sia per il bene sia per il male, come le forze più familiari della natura fisica, siano sostanze medicinali oppure esplosivi. Ti amo, occhi d’oliva, aspettami…

°

“Petros, sono Pericle, ti devo dire un sacco di cose…”
“Conte Max, che è successo?”
“Dimme ciao prima, no? Ricominciamo daccapo: C -i- a- o- P- e- t- r- o- s, caro, come stai, cocco?”
“Sei sempre il solito, che c’è? Sorprese? Non fischiettare, mi fai esaurire quando fai così…”
“Sorprese dici? Eccome! : te la ricordi quella ex fidanzata tua, quella bionda, un po’ matta? Eh? Non dire di no, che tanto non ci credo, non sai che è successo… non te ne fai un’idea…”
“Pericle, ma quando la pianti di fare il misterioso, dimmi che c’è, che hai fatto?”
“Che ho fatto io? Che ho fatto io? Che ti ha fatto lei! Dice che è tornata a casa tua, tu poi, che le lasci ancora le chiavi di casa, e s’è portata via tutto, tutto, hai capito? Ora non ci hai più niente dentro, non ci hai più casa, ah, no aspetta, i libri dice che li ha lasciati, pare che s’è commossa, ‘sta para…cadutista ! Sei svenuto, caro?”
“No – rispose secco Petros, senza neanche riprendere a respirare – dimmi di Pitagora, dove sta il gatto, sai quanto me ne frega di casa e … pure di lei: lo sapevo, me lo sentivo, che prima o poi me lo faceva, ‘sto scherzetto, ed ha pescato proprio il momento buono. Sempre tanto, tanto caruccia! Tu come l’hai saputo?” – non era neanche sarcastico, il tono di Petros non rivelava nessuna delusione, erano, quelle, le parole di chi sta solo constatando qualcosa che è accaduto perché doveva accadere.
“La tua portinaia, sempre lei, Amelia, la strega che ammalia. Ma come cavolo fa ad averci tutti i numeri degli amici tuoi? Ti immagini la faccia che ha fatto, e quante ne ha dette, me ne ha fatto un resoconto drammatico di circa un’ora al telefono, quando se l’è vista arrivare con il tir?”
“Ma quale tir, sono quattro cosette. I libri adesso, dove stanno? E Pitagora, ma non stava da…Jo, sì, Pitagora stava da Jo, poi lo ha dato alla sora Amelia: povero micio…”
“Ma ‘nvedi questo: sta a pensà ar gatto e ai libbri suoi! Ah bellooo, non ci hai più casa!!! Lo vuoi capire? Comunque i libri stanno in mezzo al salotto, belli belli, tutti in fila: sempre precisa, lei, bisogna ammetterlo, e il gatto, vabbè ce penzo io ar gatto, contento, Giggi?”
“Quanto sei dolce quando mi chiami Gigi. Senti, ti ringrazio, davvero, una notizia orrenda, ma non riesco a dispiacermene più di tanto, so che puoi pensarci tu: vedi un po’, anche se ora come ora, non so nemmeno io come sto. Sai, Pericle, mi sembra di averci due cuori, mi sembra che stia per succedere qualcosa e non riesco a capire se sarà bella o brutta. Di quello che è capitato non so che valutazione dare. Mi fa pena se ha fatto questo, forse pensava di rendersi interessante ai miei occhi, oppure si è voluta solo vendicare. Che strazio, Pericle. Se penso al tempo che ci ho perso dietro, senza essermi accorto che se le portava dentro queste cose, dentro quell’apparenza innocente, con quegli occhioni sempre spalancati sul mondo come se fosse una vetrina illuminata, sempre a sorridere alla vita, a fare la piaciona, la divertente, sempre rilassata, positiva, mai un problema. Un bel involucro con il fiocco, ma il regalo che c’era dentro si è visto solo ora. Ti credo, che fosse così positiva: quando si pensa di possedere tutto si è molto rilassati…Scusa, conte Max, pensavo ad alta voce.”
“Ma ti pare, ti capisco benissimo: è che spesso in alcuni tipi di donna si dissimula una Morgana, un essere che tenta, ad arte, di usurpare le forze interiori proprie ed altrui e spesso ci riesce, perché vi si applica con intensità, facendo leva sui punti deboli di ciascun uomo. E tutti noi ne abbiamo, persino io e te. Hai incontrato anche tu la tua Morgana, il suo gesto così volgare lo testimonia, forse un tempo è stata anche in grado di manipolarti, come Artù si è lasciato manipolare da Morgana, concependo la propria distruzione. Certo, per te è una distruzione in cui prevale l’aspetto materiale, la rivendicazione del possesso di cose, ma cambia poco: quella casa era come il regno per Artù… Comunque, ti ha lasciato i libri, ma non credo che sia un estremo atto di riconoscimento o un’azione fatta per te: semplicemente non le servono, la impiccerebbero, non li capisce… Vedi, Petros, per l’uomo, l’ombra più importante è il femminile, in quest’ombra un uomo può restare intrappolato senza avere né la determinazione ad accettarla com’è, né la lunarità di un Lancillotto. Mi permetti di dire proprio a te queste cose, vero? L’unico aspetto bello della Morgana della saga, è quando lei è colpita dall’incrollabile fedeltà di Lancillotto per Ginevra, come confessa a Tristano, e questo rivela tutta la sofferenza di questa figura, costretta ad un destino perverso ed infelice. Questa Morgana in sedicesimo, di cui tu hai fatto esperienza, non credo proprio che ci rifletterà mai, anzi, andrà a gustarsi il suo vano trionfo con il prossimo malcapitato che saprà irretire… Della Morgana del mito costei non ha il sentimento lacerante di chi è tesa fra la soprannaturalità della dea e la naturalità della donna, cerca senza trovare, un uomo capace di esserle pari e di capire l’ineliminabile ambiguità della sua natura: ella è proprio come la Luna, che può rischiarare le tenebre ed identificarsi, nascondersi in esse, senza fugarle del tutto, e comunque ha quella faccia perpetuamente invisibile, inafferrabile, che in qualche modo è l’altra faccia della luce.”
“Secondo me, sei troppo gentile, cavalleresco, direi, la associ ad un essere che le è talmente superiore da non consentire un paragone. Siamo schiavi del fascino, nostra redenzione è ammettere che questo accade, che siamo schiavi; negarlo ci rende insopportabili e mostruosi. Comunque hai ragione tu: tocca a chi può perdonare e sostenere il peso del male anche se commesso da altri. Credo che questa donna possa trovare una forma di riscatto dal suo gesto, se saprà cogliere la sua opportunità, quando le si presenterà, e non sarà cieca come sta dimostrando di essere adesso, mossa dall’ambizione personale e dal desiderio di impossessarsi di qualcosa che per lei rappresenta una forma di potere. Ha tentato di deviare il flusso polare dei miei sentimenti proiettando l’attenzione su sé stessa, invece di accettare che io ho scelto un’altra come compagna della mia vita…. Vedi è molto più semplice di quello che appare: gelosia e vendetta.”
Che cosa è Morgana se non il lato femminile sfuggito ai progetti di Merlino, un elemento deviato che strappa e abusa per i propri fini personali delle forze interiori, non solo della polarità, come dimostra nel concepimento di Mordred, ma soprattutto della sovranità, come appartenenza al re del regno sopra il quale governa, una donna invidiosa dell’integrità spirituale di Artù e del suo destino preordinato, simboleggiati dalla spada, lunga e dritta come un lampo di luce, e del suo fodero, che nella sua forma magnifica la contiene.
Del nome Excalibur si dicono molte cose, significa “duro taglio”, “duro filo” e possiamo rammentare per analogia Durlindana, altra spada epica. Ma vi è una seconda versione del suo significato: Excalibur deriverebbe dall’unione della preposizione latina “ex”, che significa “fuori da”, e la parola con cui i popoli del deserto dell’Africa settentrionale indicano una forma, qalibr, la forma del suo fodero.
Morgana fa di tutto per ottenere questi oggetti da Artù, inoltre, i principi spirituali e le regole della condotta umana non sono usati da Morgana, a differenza di Merlino, come guide o personali, oppure a favore della collettività, ma come armi per incastrare gli altri. Questi sono i metodi principali del male, dimostrati da tutte le atrocità commesse nella storia umana con l’apparente sostegno di standard religiosi o morali.
“E allora, non ci sono forse riuscita, come avevo progettato, con la mia acutissima volontà e la mia invincibile sapienza, a prendermela quella spada?” La sua voce era acuta e definitiva come una stalattite di ghiaccio, incrinata impercettibilmente dalla vena della follia: “Maledetta spada e maledetto anche il suo fodero! Tutto è andato come volevo io, anzi meglio di quanto avessi potuto immaginare persino io…a dispetto di quel vegliardo e dei suoi buoni consigli a mio fratello Artù, il re, ah ah! È stato facilissimo attirarlo nella foresta, metterlo sulle tracce di un cervo maestoso, con le corna raggianti come un sole splendente, così che fosse chiaro per tutti, lui compreso, che quello era il fantasma ed il simbolo della regalità che potevo togliergli quando volevo, come volevo io. E poi, tanto per divertirmi un po’, gli ho messo alle calcagna, sia mio marito Urien, che il mio amante, Accolon: quanto mi diverte guardarli quando stanno insieme ognuno al buio delle corna proprie e non di quelle altrui, quanto mi divertono le loro ignare scaramucce cortesi… Si sono dati un daffare d’inferno nella caccia al cervo, fino a sfiancare i cavalli, poi finalmente i cani hanno abbattuto la bestia, e per mio sommo diletto, non erano i cani di Artù… Così impara! Poi, eccoli lì tutti a guardare come ebeti una navicella di seta che giunge loro attraverso le acque e ci salgono pure! Oh, che idioti, dove se ne vanno? Ah, ecco, ecco perché, ci sono delle fanciulle ad accoglierli, che bella scenetta, davvero deliziosa. Adesso li aggiusto io: fate pure la vostra pantagruelica cena, dateci dentro tutti e tre con quel vino superlativo, prima poi vi addormenterete, miei cari… e allora la vostra affettuosa Morgana vi farà una bella sorpresa personalizzata, una ciascuna, secondo i vostri meriti…
Allora vediamo: il mio amato Urre lo collochiamo nel suo talamo medesimo, tra le mia braccia, o meglio tra quelle di colei che lui pensa essere io, invece il mio fratellino lo faremo svegliare in una prigione sotterranea, soggetto ai capricci di un falso cavaliere, uno di quegli uomini senza scrupoli inutili che piacciono tanto a me, infine il caro Accolon, in quanto mio amante attualmente in carica, merita un trattamento speciale: lo collocherò vicinissimo ad un pozzo profondo dal quale scaturisce una fonte d’argento con un alto zampillo e gli manderò anche un mio servitore, che gli porti un messaggio da parte mia, qualcosa che non possa rifiutarsi di fare, in cambio ovviamente di tutto quello che adesso sta vedendo nell’acqua magica di quella fonte. Furia bestiale, come un cinghiale infoiato, guarda che occhi che fa: dovrà combattere per me fino alla morte oppure, niente! Niente di niente neanche Excalibur. Via, vai a dire ad Accolon di non fare il vigliacco: con Excalibur in pugno non sarà mai vinto, corri! Ma che rumore fastidioso! Che cos’è mai? Ah, eccoli lì, è quel simpatico di Damas, che tiene prigioniero Artù e che lo sta pungolando e costringendo a combattere al posto suo, quante minacce che gli fa, ma lui, come al solito è fiero, sta a controbattere con quel porco di Damas perché lasci liberi i suoi cavalieri ancora prima di lui: incorreggibile. Neanche un po’ di egoismo, mai, come se non gli avessi mai trasmesso nulla della mia natura nei nostri incontri. Ma quell’altro sullo sfondo tutto armato chi è? Lasciami guardare bene: aha, è il fratello bello, bravo e buono di Damas, Outelake, ma che cosa dice? Oh è ferito, povero caro, ferito alle cosce, dicono tutti così quando non vogliono lanciarsi nella contesa, ma a me non importa, deve combattere Accolon per me, altrimenti, saranno guai per lui, dopo tutta la fatica che ho fatto perché potesse avere la vera Excalibur, mentre a quell’idiota del re ho rifilato quella finta. Adesso vediamo come se la cavano: certo, è davvero forte il mio fratellino, ma c’è poco da fare contro i miei incantesimi, ecco che viene reso inerme, ecco che la spada falsa gli si spezza in mano… ma, oh che accade: lui continua a combattere disarmato, con il pugno di ferro e lo scudo!! Fanatico incorreggibile…”
Il lago si increspò e Nimue, con il volto proteso verso l’aria e la luce, emerse all’improvviso dalle acque solo con il suo vestito color del fondo, senza mantello, rapida raggiunse il campo di battaglia ed avvolse nella sua cintura di alga bruna la mano destra di Accolon che mollò subito la presa sull’elsa di Excalibur, Artù si slancia sulla spada finalmente consapevole di quello che stava accadendo, gli sfila all’istante il fodero dal fianco e si rende conto di quanto è successo: fino a quel momento Accolon è stato protetto da ogni ferita grazie ad esso, così Artù ha presto la meglio; i due hanno combattuto travestiti ed ora le loro autentiche identità sono reciprocamente rivelate. Il sovrano risparmia il rivale, rendendosi conto che il tradimento giunge da parte della sorellastra Morgana: scopre che lei era stata in possesso della vera Excalibur e del suo fodero per un anno, senza che lui se ne accorgesse. Ma la morte giunge ad Accolon sotto forma di un lungo infinito flusso di sangue che scorre via dal suo corpo assieme alle sue energie spirituali, vittima anche lui, poiché malvagio, anche se involontario usurpatore di un destino che non è suo.
“Fuori gioco questo inetto, ed era ora…che stupida, non so come ho fatto a fare di lui il mio amante. Ma veniamo al pratico, devo disfarmi di quel peso che ormai è diventato Urre, dorme, sarà uno scherzo ucciderlo con la sua stessa spada… E tu, stupida gallina, corri a prenderla e bada bene che nessuno ti veda, altrimenti sono guai per te!”
La servetta in pianto corse verso Ivano, implorandolo di intervenire, non poteva non portare la spada alla padrona ma aveva una folle paura per sé e per quello che poteva accadere. Ivano la tranquillizzò e volle seguirla in silenzio fino alla camera del padre, dove Morgana, sul letto di Urre, impugnava a due mani la spada del re dirigendola al cuore di costui, che dormiva. Gliela sfilò semplicemente da dietro mentre lei ancora stringeva forte le dita attorno all’elsa che scorreva via e alla lama che le fece scaturire dalle mani frenetiche un rivolo di sangue nero. La vista del sangue e il gelo della paura, la fecero urlare come un’aquila, si graffiava la faccia con le mani lordandosi di sangue come una prefica e invocava demoni e larve a testimonio della sua tentazione, gli occhi bianchi di odio e di terrore volti all’indietro, aggrappata alle ginocchia di Ivano, chiedeva pietà.
“Riesco ad ingannare Artù che è il re, che cosa sarà mai prendere un po’ in giro il mio adorato figliolo Ivano, mi sono fatta perdonare, embè, che c’è che non va in questo? È mio figlio, no, e la mamma è sempre la mamma… E adesso che è morto quell’inetto di Accolon devo compiere l’opera, devo ottenere a tutti i costi il perdono del re e… levargli quel benedetto fodero, non ne posso più di corrergli dietro… Servi, un cavallo, voliamo all’Abbazia, il re ha bisogno di me, ed io ho bisogno del fodero…” disse sussurrando queste ultime parole, che i servi non udirono, presi com’erano dall’ansia che quell’ordine perentorio e feroce aveva messo loro addosso.
Artù vinto dalla mortificazione riposava finalmente, le sopracciglia aggrottate, di un sonno profondo e innaturale, ferito, quasi esangue, reggeva Excalibur con le mani contro il petto, come bimbo punito con il suo pupazzo stretto al cuore.

“Ma me lo vuoi dire come è andata a finire – disse il Conte Max all’amico – che cosa successe quando Artù si svegliò e scoprì che aveva combinato Morgana?”
“Quando il sovrano si sveglia, il tradimento viene scoperto e Sir Outelake, il fratello del falso cavaliere che lo teneva prigioniero, ed Artù si lanciano all’inseguimento a cavallo. Un vaccaro, che sembrerebbe un sacerdote di Iside, presso un crocevia, altro luogo molto simbolico dei misteri lunari, dice loro da che parte lei è andata. Morgana ed i suoi quaranta cavalieri procedono rapidi nella foresta, e giungono ad una piana dove c’è un lago. Qui, in questo territorio interno palesemente magico, lei getta il fodero nella parte più profonda delle acque, così che Artù non sia mai in grado di recuperarlo. In tal modo lui perde l’invincibilità e la conoscenza necessaria per controllare il proprio genio ed il proprio destino, fattori che inevitabilmente hanno come risultato la sua caduta conclusiva.
Per evitare la cattura, Morgana trasforma sé stessa ed i suoi uomini in grandi massi, finché Artù se ne va. Parte della slealtà, e del senso dei valori deviato che caratterizzano questo personaggio viene rivelata immediatamente dopo, quando lei si imbatte in un cavaliere prigioniero che viene portato ad una fonte per essere messo a morte per annegamento, accusato di adulterio. Lei scopre che il prigioniero è Manessen, il cugino di Accolon, perciò lo libera e gli consente di uccidere il cavaliere con la cui moglie è giaciuto. Come vedi, Morgana si occupa preferibilmente di queste faccende, diciamo da vita di provincia segreta… Quindi Morgana ordina a Manessen di recarsi alla corte di Artù con un messaggio in cui esprime il suo disprezzo ed il suo astio, e ritorna al proprio regno ad innalzare le difese contro qualsiasi rappresaglia. Artù ferito viene infine portato via sulla chiatta mistica fino all’Aldilà celtico, per essere accudito dalla fata e dalle sue sorelle, sotto la tutela della Dama del Lago.”
“Senti Petros, se non sapessi che adesso devi vedertela da solo, mi verrebbe voglia di ritornare su da te, così per stare un po’ insieme, come ai vecchi tempi…”
“Io lo apprezzo molto, Pericle, ma ho deciso di rimettermi in viaggio, sai, ieri tornando verso l’albergo sono passato da una località di mare, non molto lontano dai luoghi di Artù e di Merlino, è diverso dal mare che conosco io, questo mare del Nord, diverso e uguale nello stesso tempo come se fosse un tessuto appartenente allo stesso organismo, un distretto anatomico dello stesso corpo, con colorito diverso, con altre increspature, come le mani e il volto sono diversi dalla pelle della schiena. Io sono abituato ad un mare scintillante sotto il sole, in eterno colloquio con lui, a mareggiate invernali impetuose, con onde sollevate dal vento come tende di merletto, a porti naturali, la cui forma l’uomo ha solo corretto, a spiagge di tutti i colori. Questo mare è diverso, è oscuro, passa dal grigio più pauroso al viola più intenso e quando lo guardo, penso come i popoli che lo hanno contemplato come loro dio, dalle sponde del grande Nord, fino alle baie dei Paesi Baschi, ne abbiano sentito il senso di immenso mistero e di timore, e che ogni impulso alla navigazione, fosse piuttosto una sfida alla propria paura, che un’avventura di conoscenza…”
“Ciao Petros, buona fortuna …”
“Ciao Pericle, a presto”
Gli istanti di silenzio furono lunghissimi, nel microfono del cellulare dei due amici si sentivano solo gli echi e i riverberi della voce che rimbalzava da un satellite all’altro, mentre le parole erano già sparite, e nel silenzio, entrambi avvertivano una profonda consapevolezza ed un forte legame fraterno dentro i loro animi. Petros leggeva nell’animo di Pericle e Pericle in quello di Petros. Non se lo confessarono, temendo di rompere quella cosa forte e tenera che li univa.