La linea marittima Swansea-Cork Ferries effettua il tragitto in dodici ore, il tempo di una lunghissima notte per Petros, durante la quale, egli ebbe il tempo di farsi un’idea meglio approfondita del passato, del territorio che lo aspettava, e leggendo la sua guida scoprì che le antiche province irlandesi Ulster, Munster, Leinster e Connacht dividono la terra approssimativamente secondo i punti cardinali. Il porto del suo sbarco, la città di Cork, sorge su di un’isola che abbraccia i due canali del fiume Lee.

Le strade della cittadina di mare sono contorte, i saliscendi e i viali stretti creano a volte degli ingorghi, pertanto decise che avrebbe visitato la città a piedi, e la visita, secondo la guida, poteva durare circa un’ora e mezza: giusto il tempo per farsi preparare l’automobile a noleggio che lo avrebbe portato alla destinazione definitiva: la contea di Sligo, la campagna di William Butler Yeats. Visitò le vie principali e una cattedrale in finto stile medievale. La cittadina nel complesso non era male, ma quel finto gotico lo irritò un po’, quindi tornò sui suoi passi ed entrò nell’ufficio dell’agenzia di noleggio. Gli Irlandesi amano, a differenza di altri popoli, che lo straniero si cimenti in qualche parola della loro lingua, dalla pronuncia sonora e quasi impossibile, per un latino. Petros, sapendo questo, con molta simpatia salutò in gaelico e chiese persino il modello di automobile che preferiva. I suoi tentativi scatenarono una franca e simpatica ilarità nel personale dell’agenzia, fino al punto che il direttore saltò letteralmente il banco per complimentarsi con il cliente ed invitarlo a bere con lui. E a suon di “Slainte! Slainte!”, Petros ci perse circa un’ora nel pub vicino con il grosso e simpatico Paddy Kerry, che non pose tempo ad invitarlo ad una festa musicale la sera. A questo punto: che fare? Deludere il nuovo amico Paddy e non saltare e ballare al suono degli strumenti tradizionali in una coinvolgente “ceilidh”, oppure pagare pegno con Paddy stesso e sorbirsi tre birre in un fiato? Magari a rischio di cominciare a guidare verso Sligo non del tutto sobrio? Accettò, Paddy minacciava, ridendo come un gigante celtico, che avrebbe cambiato il pegno da pagare convertendolo in sei whiskey irlandesi: “E bada bene, Petros caro, che Dio ti benedica, il nostro whiskey non è quella cosa affumicata che si beve in Scozia, possa essere fulminato in questo istante, noi irlandesi facciamo asciugare il malto in fornaci senza fumo, ed è così, che si sente l’orzo, e il gusto del nostro Uisce Beatha, l’acqua della vita, è pulito come la faccia di un angelo!”
Come fermare la valanga di vitalità di Paddy? Lui era come la musica del suo paese, e lo capisci soltanto quanto la senti, non riesci a tenere fermi i piedi: difficile da definire questa musica, facile da ascoltare. Nelle ballate si insinuano i tempi politici e sociali, i temi eterni dell’umanità, e come dice un loro poeta: “sempre gioiosi loro canti di guerra e sempre malinconiche le loro canzoni d’amore”. Paddy spiegava l’uso degli strumenti con rara competenza: il violino, fulcro della musica tradizionale, la zampogna uillean in cui il gomito è usato per pompare dentro aria, versione raffinata della cornamusa, il piccolo tamburo di pelle di capra, lo zufolo di stagno accompagnano gioiosi tutti gli altri strumenti, mentre la fisarmonica e il flauto sono suonati in assolo. Verso la fine della serata, tra le lacrime di commozione di più di un omone di pelo rosso, abbracciato per sostenere l’alcol e l’emozione agli amici più cari, i sorrisi estasiati dei giovani, dentro i quali l’amore per la loro patria non dormiva mai, e il dondolio sensuale delle ragazze del pub, tutti, Petros compreso, accompagnarono con i boccali levati e le voci in coro, un brano tradizionale di musica irlandese, la marcia funebre per Re Brian Borù, l’eroe.
Il risveglio fu difficile, il mattino dopo, ma l’automobile stava già fuori dall’albergo e Petros, prima di partire voleva salutare l’impagabile Paddy che gli aveva fatto trascorrere una serata davvero indimenticabile. Così, entrò nell’agenzia e vide di spalle, davanti al banco, un uomo che in un ottimo inglese stava facendo un contratto di noleggio. Sulle prime non lo riconobbe, ma osservandone meglio i gesti e le movenze non ebbe più dubbi, era il Conte Lamberto che, con la signorilità di sempre, stava parlando con la figlia di Paddy, segretaria dell’agenzia, facendo le sue richieste con estrema calma. Gli si avvicinò piano e lo salutò in italiano chinandosi leggermente verso l’orecchio di lui; quando lo sguardo del vecchio signore si fissò al suo, egli non parve sorpreso di trovarlo lì, si salutarono come se si fossero lasciati solo poco prima e cominciarono a parlare, davanti alla annoiatissima figlia di Paddy, che pensava di poter andare a fare colazione al pub prima di risolvere i problemi dei suoi clienti. In brevi istanti Petros invitò il Conte a fare il viaggio con lui, in fondo la loro meta era identica e il piacere di poter viaggiare insieme era immenso: “Ho già prenotato un cottage a Dooney, è un angolo stupendo sul lago Gill, il posto si chiama Rock Forest, ci sono stato da studente, e, per quanto la mia permanenza fosse stata breve, ricordo la dolcezza di quel paesaggio e i rampicanti di cui parla Yeats in una sua poesia; ricordo che dopo aver studiato, passavo ore sulle sponde del lago a riposare e i pensieri di allora non li ricordo più, so che erano così liberi che neanche le nuvole riuscivano a stare loro dietro…Ma è passato tanto tempo. Partiamo, signor Conte? Lei conosce Sligo?”
“Ci davamo del tu, non molto tempo fa, che è successo? Raccontamela tu, questa contea”, rispose il Conte Lamberto con il sorriso di un nonno che voglia ascoltare le scoperte di un nipote prediletto e non voglia fargli credere che è già al corrente di tutto, così, per puro affetto, per appoggiare il suo antico pensiero a quello irruente del giovane, che nel colloquio, via via si placa come le onde dentro un porto naturale, mentre il suo, quello antico, ripercorrendo avanti ed indietro la vita, trae la serenità meditativa di chi, essendogli noti tutti i sapori, riconosce il gusto sotteso ad ogni cosa…
Petros guidava e parlava di Sligo, della sua storia violenta, razzie di Vichinghi, di Normanni, di Islandesi funestarono le sue baie e le sue campagne, poi venne il tempo di san Colomba e le vestigia sacre dell’antica religione vennero rivestite di simboli cristiani, sorsero le abbazie nelle quali l’intera cultura classica venne salvata dalle mani dei monaci irlandesi che trascrissero e miniarono codici su codici, strappando al buio feroce della carestia la luce del sapere umano: “Se siamo fortunati, possiamo assistere alla competizione tradizionale che si tiene ogni anno a Sligo, nata da una delle poesie più celebri di Yeats: si tratta di scegliere il campione irlandese degli imbroglioni, ma ci pensi, Lamberto, che gente sorprendente che è questa?”
“E tu, Petros, non sei sorprendente? Ti ho lasciato in condizioni di spirito spaventose, anche se tu con la tua forza interiore non hai fatto trapelare nulla, e ti ritrovo qui, con una strana luce negli occhi: che è successo mentre sono stato via?”
“È successo che mi sono trovato a vagare in territori che l’angoscia mi impediva di scorgere nella loro dimensione, ho messo alla prova me stesso, qualcosa mi è sfuggito, ma molto mi è stato dato senza che io chiedessi, ho solo pregato, prossimo al fondo delle cose che non si comprendono, ma che devo accettare. Ho sempre avuto a mente le tue parole, ho continuato il mio lavoro, cercando di renderlo unitario con la mia vita stessa. Ho percepito che attorno a me, diverse energie si muovevano, mio dovere lasciare che tutto avvenisse, ho osservato quello che è accaduto, ed ora sono qui… Non posso negare di sentirmi dentro una svolta, ma sono felice, credimi, che anche tu sia con me in questo viaggio.”
“E della tua ricerca, intendo quella sui Cavalieri della Tavola Rotonda che mi dici?”
“Seguire i cavalieri è stato addentrarmi, ed a volte perdermi, in foreste prive di sentieri o in cui tutti i sentieri convergono, incrociando vie impensate, a volte sentendomi folle, come Ivano, per poi capire che qui è tutto possibile. Davvero Mercurio, il dio dei crocicchi, è un burlone, ma proprio questo mi dà il coraggio di fare ipotesi mie su questo tema sul quale si sono cimentate persone ben più illustri di me. Quella fondamentale è che Artù rinasca in romanzi, dipinti, musiche e films a cavallo delle epoche di cambiamento. Quando il nuovo, in arrivo, ci lacera fra il buttare alle ortiche od il trattenere tutto il vecchio, egli riemerge dalle nebbie di Avalon con il suo sogno di unificazione tra ieri e oggi, tra Cielo e Terra, tra mente e cuore, tra aggressività e amore. Egli ed i suoi cavalieri appaiono con volti diversi e contraddittori, la realtà che narrano non è oggettiva, ma soggettiva: Artù e le figure che lo attorniano sono pretesti, icone. I personaggi che ne emergono sono diversi da altri scritti ed assai poco “celtici”, ma si tratta di un’operazione come quella che ha vestito le Madonne di abiti medioevali o rinascimentali senza per questo contraddire la verità “storica”. Qui siamo nel mondo dei simboli e delle libere associazioni mentali, ed i cavalieri che io sento come miei, sono solo alcune delle loro mille sfaccettature.”
“Petros – disse il Conte Lamberto – gli studiosi di letteratura hanno osservato l’ascendente esercitato sull’immaginazione degli occidentali dalle leggende di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, delle dame e della ricerca del santo Graal, ma pochi ne immaginano il vero motivo, ovvero che tali miti custodiscono gelosamente una segreta tradizione misterica. Quest’antica tradizione, preservata nel mito e nella leggenda celtica, fu rimaneggiata da trovatori iniziati del XII sec. e diffusa in tutto il mondo cristiano. La leggenda arturiana è anche unica, per il fatto di fornire un tragitto completo attraverso gli abissi dei nostri aneliti spirituali primordiali, fino alle vette dell’esperienza mistica. Essa si estende dall’antica tradizione del calderone d’ispirazione e rinascita, trafugato al sovrano degli Inferi, per giungere fino a Galahad, il perfetto cavaliere cristiano medievale, che affida la propria anima a Dio, dopo aver portato a termine la ricerca del Graal.”
Ascoltare Lamberto era sempre così piacevole, la pacatezza dell’argomentazione, quel porgere cortese verità spesso inaccessibili ai più; Petros si scopriva incantato ad osservarlo, e si riscuoteva appena in tempo per rispondere:
“Queste visioni sono complementari, forniscono un’immagine completa del sistema di conseguimento della consapevolezza umana. Ciò che è inferiore non viene lasciato indietro man mano che l’uomo avanza, ma conservato come base per la sua crescita futura. Perciò i misteri arturiani non costituiscono un itinerario ascetico, ma evidenziano il destino dell’uomo occidentale, che è quello di cercare di controllare i livelli della materia, non di eluderli; essi mirano ad utilizzare ed elevare il desiderio, non a spegnerlo.”
“E tu, a che punto pensi di essere in questa evoluzione della consapevolezza?”
“Sono ancora in mezzo al mio percorso, non mi sento di dare una valutazione neanche intermedia, figurati se posso darla definitiva. So che devo continuare, per ora, questo solo. Ti sono grato per la tua presenza, certo che nulla avvenga per caso, anche il fatto che io abbia rifiutato quella di Pericle, che pure io amo come amico, come sono certo che Pericle ha capito la mia decisione. Ora tu sei qui, il nostro viaggio comincia…”- sorrise Petros.
“Ovvero, riprende…” – disse il Conte Lamberto guardando fuori dal finestrino dell’auto le montagne avvolte in nuvole bluastre che sembravano impigliarsi nelle cime e strapparsi nella loro corsa folle nel tempo che mutava continuamente – ” Petros, ascoltami e perdonami se entro in quella sfera nella quale la riservatezza dovrebbe far entrare solo se invitati, che cosa agita la tua mente, quale pensiero doloroso tu cerchi di lenire con questa acerrima ricerca dentro te stesso, che cosa ti è venuto meno nell’anima, che cosa ti ha interrotto? Perdonami, ma mi sembra di essere come Didone, in questo momento, non ignara malis, miseros succurrere disco. La mia età è tale che nulla ormai mi turba più, e se dovesse capitare di abbandonarti all’emozione, lasciati pure andare, fa’ conto che io sia tuo padre, oppure tua madre se preferisci, o tutt’e due insieme e non se ne parli più” – concluse il Conte con una punta di facezia, per smorzare i toni.
“Ho lasciato in un ospedale di Marsiglia la donna che amo, in coma, è stata violentata da un mostro, non so nulla, non ricordo nulla, so solo che l’ho affidata alle cure di un amico, un essere non nato, un clone, di cui mi sono preso cura, al quale sono legato da un profondo affetto, benché lui non sia in grado di comunicare se non per iscritto. Un sogno, forse, le tue parole come le parole di un oracolo, mi hanno spinto a partire di nuovo e, solo Dio sa che cosa mi è successo dentro quando me ne sono andato; ma era un ciclo che finiva, io ero spezzato, ma dovevo partire. Lamberto, io sto cercando il Graal, per guarire Joséphine”.
“Ed io sono qui con te”. La mano sulla spalla, diafana, solcata di vene azzurrine, appoggiata come una farfalla immobile e vibrante, chi ha insegnato ad un bambino a non piangere solo in quanto è un maschietto?
“Petros, abbiamo già parlato a lungo dei “nostri Cavalieri”, io approvo le tue ipotesi, ma credo che dobbiamo elevarci di uno stadio: la tua condizione personale, per quanto difficile, deve portarti ad un’analisi profonda, senza la quale non uscirai trasformato da questa vicenda. Vedi, se le tue ipotesi sono esatte, devi entrare nel prossimo grado. Questo ti è imposto dal fatto che sei rimasto solo, privato da un istinto violento della donna che ami, del tuo doppio femminile. Ebbene, ancora una volta attraverso l’esame della leggenda di Artù, ti starò vicino nel percorso di conoscenza delle forze della polarità, poiché essa è alla base di ogni esistenza manifesta. Nella vitalità e nell’essenza spirituale di ogni cavaliere e dama di corte vi sono le energie della polarità, i segreti del vigore personale che vanno trovati nelle duplici forze dell’aura umana. Il simbolo di questo percorso e colei che governa i misteri di questo grado ulteriore, è la regina Ginevra, il fulcro della vita e della struttura sociale dell’intera corte; lei rappresenta le virtù cortesi che costituiscono l’esistenza pacifica e civile, in contrasto con le preoccupazioni militari e politiche di Artù e di Merlino. Quando il sovrano ed il mago hanno svolto la loro opera, e nel paese dominano la pace e la giustizia, è la regina a regnare sulla società ideale che si sviluppa a quel punto. Nelle fasi iniziali della creazione del regno, in cui esso viene condotto ad un ordine pacifico, Ginevra rappresenta un corpo coerente all’interno della corte, da dove i cavalieri partono per le loro avventure, a cui ritornano quando hanno completato le ricerche. Per successive emanazioni da questo centro simbolico, si osserva che ogni cavaliere ha una dama, e ciascuno di loro occupa un posto alla Tavola Rotonda, che in un certo senso Ginevra rappresenta e da cui è rappresentata. Non fu una coincidenza che la Tavola Rotonda facesse parte della dote della regina, portata alla corte di Artù in matrimonio. In un altro senso, quello di più pregnante valore simbolico, la Tavola Rotonda, Ginevra e la corte rappresentano il fodero della spada, la cui lama è sguainata per raddrizzare torti nel paese, e quindi riposta nella guaina quando l’equilibrio è stato ripristinato: è l’aspetto collettivo della spada, la vitalità e l’essenza spirituale della corte.
Vorrei porgerti l’immagine della regina come di qualcosa di vitale, di attivo, un centro spirituale che alimenta ed è alimentato dai suoi, non come un personaggio segnato dalla rinuncia …Vedo che questa strada è molto lunga e gli accessi agricoli sono numerosi, è già il quarto gregge di pecore che facciamo passare da quando siamo partiti. Senti, Petros, metti un po’ di buona musica, presta attenzione alla tua guida, io approfitto del paesaggio per … distrarmi un po’… a modo mio, non avertene a male, che ne dici?”
“Non ci sono problemi, riposa pure, io approfitterò per riflettere, questo verde continuo, ondulato, non potrà che portarmi immagini di vita e all’arrivo sarò più pronto ad ascoltarti”
Sulle strade in mezzo alla campagna, nei territori che non hanno negato la loro essenziale vocazione agricola, non è difficile incontrare vestigia dell’opera della natura sul paesaggio dell’uomo, anche se il livello di civilizzazione di un popolo, per ragioni di sicurezza, di decoro civile, comporta la rimozione di quanto la natura stessa nella sua azione terribile, lascia come segno di una distruzione o di un cataclisma. La polizia stradale segnalava un rallentamento del traffico, già da lontano si scorgevano i lampeggianti di un’autogrù: un albero enorme, sradicato da un temporale, ora brandiva le sue radici verso l’aria come se il mondo fosse stato di colpo rovesciato. Pur così divelto, l’albero era ancora vivo, maestoso in tutta la sua bellezza, la natura non lo aveva abbandonato, solo ne aveva sovvertito la prospettiva, ma l’albero conservava una sua spettacolare simmetria… Un albero della vita, metafora di ogni esistenza, discesa della luce divina, della conoscenza, della manifestazione e dell’amore stesso. E le immagini si accavallavano nella memoria, le conoscenze passate, risvegliate da un episodio accidentale, le associazioni di idee con tutto quello che sapeva: “Ma a che vale sapere tante cose, tanto interpretare, tanto indagare ed analizzare, quando alla domanda più importante io non so ancora trovare risposta; tutta questa sapienza se non è al servizio di qualcosa, non conta, non vale nulla. Si trasforma in saggezza solo se… “Solo se qualcosa ti mostra ancora una volta che è proprio attraverso queste immagini che adesso pare che ti assalgano, e tu ne sei quasi inquietato, che molti uomini hanno, come hai fatto tu, scandagliato il segreto più profondo, scendendo e risalendo lungo i rami dell’albero della vita: questa è una figura universale, comunemente usata nella tradizione misterica occidentale, che corrisponde ai centri psichici che si allineano con la spina dorsale e che sono studiati dalle varie forme della tradizione orientale. Questa immagine può essere applicata all’aura dell’individuo e fornisce il modello dello yoga occidentale; indica punti di forza e dinamiche all’interno dell’organismo psichico. La spada e il fodero di cui stai parlando con Lamberto, hanno questa immagine analogica: pensaci, Petros: il fodero può essere visualizzato su una simile base: scuro, cesellato in argento con strane rune e simboli cosmici, alato sulla sommità come un caduceo, il fodero, invece rappresenta le polarità proiettate dalla spada sguainata dello spirito in azione, che sono contenute in equilibrio all’interno della linea centrale di sfere dell’albero della vita. C’è un segno particolare collegato all’albero della vita, che è conosciuto come il lampo di luce e riguarda la discesa di forza nella creazione dell’esistenza; viene spesso raffigurato con un’impugnatura, come una spada..
“E’ vero! Stellina, sei un genio!”
“Genio me lo ha detto qualche adulatore, nella mia lunga esistenza, ma stellina davvero, nessuno, mai, tanto meno un uomo adulto e di bell’aspetto! – esclamò il Conte ridestatosi dalle sue riflessioni – e, se eri soprappensiero doveva essere un bel pensiero” – concluse.
“Jo mi ha suggerito che, si scusami…, stavo pensando che i vari sistemi di yoga variano nei particolari e sottolineano molteplici aspetti della complessa anatomia psichica dell’uomo. In generale essi possono essere sintetizzati in uno schema comune di centri psichici, che poi sono i chakras, i quali seguono la linea della spina dorsale dalla base di questa fino ad un punto al di sopra della sommità del capo. Sono centri di potere di una triplice colonna di energia psico-spirituale, che fornisce le funzioni fondamentali dell’esistenza e che, quando viene risvegliata consapevolmente, avendo passato il nadir della base della spina dorsale conferisce trascendenza alla coscienza e percezioni e poteri estesi sui livelli interiori.”
“Sì, questo processo è conosciuto come risveglio e presa di coscienza della forza di Kundalini, serpente che in termini occidentali può essere simboleggiato come un drago, il cui nome , riporta alla simbologia solare, in quanto questa parola deriva a sua volta da , che significa ‘vedere’, cosa impossibile, peraltro, senza la luce – aggiunse il Conte Lamberto – anzi per essere più precisi, in quanto, come ogni simbolo ha un duplice aspetto, denota addirittura due draghi, uno rosso ed uno bianco, che combattono sotto la pietra immersa nelle acque alla base della torre, dove i negromanti fanno portare Merlino fanciullo per sgozzarlo. In termini cabalistici il simbolismo è estremamente appropriato: la pietra fa riferimento a Malkut; la pozza d’acqua, invece a Yesod, e la torre non soltanto alla corrispondenza psichica della spina dorsale, ma alla carta dei Tarocchi che è tradizionalmente assegnata al ventisettesimo sentiero tra Hod e Netzach: la torre colpita dal fulmine. In altre parole, quest’antica storia del giovane Merlino è un resoconto della sua rivelazione e del risveglio delle energie Kundalini. Se ci rifletti, ad un livello più personale il risveglio della forza Kundalini ha il proprio equivalente nel fatto che Artù ottiene Excalibur, prima dalla pietra, e poi dalla Dama del Lago. In questo senso si potrebbe visualizzare la spada che sorge dalle profondità, con l’elsa sul chakra muladhara, o la sefirah Malkut, alla base della spina dorsale; qui è la spada che risveglia il controllo sugli elementi e possiamo distinguerla dalla spada discendente visualizzandola con una forma ondulata nella lama. Questo ricorderà inoltre i suoi aspetti polari, poiché costituisce un equilibrio di consapevolezza tra funzioni opposte sull’albero della vita. In termini orientali essa ha una triplice struttura: positiva, negativa e l’equilibrio fra queste. Inoltre, il fodero rappresenta la conoscenza dei poteri della spada, può essere visualizzato come discendente dal di là della sfera più elevata dell’albero della vita, simile ad un’estensione del chakra Sahasrara. Se non la conosci già, devo mostrarti una rappresentazione dell’albero delle sephirot inteso nel senso e nel modo che stiamo analizzando adesso, si trova sul primo numero, risalente al 1970, della prima rivista New Age comparsa in Italia, appena possibile te ne darò una copia… Sì, in effetti, esiste una polarità tra la spada elementare ed il fodero spirituale; questo è l’equivalente arturiano della natura dell’uomo, caratterizzata da un duplice aspetto. L’Io Inferiore si sviluppa dalla nascita fisica nella personalità della vita quotidiana, e l’Io Superiore è l’individualità, che proietta l’atomo seme dell’Io Inferiore nell’esistenza fisica. Nella teoria esoterica questo è spesso raffigurato nel simbolismo di due triangoli che si uniscono per formare la stella a sei punte dell’essere umano completo. Questo rappresenta lo spirito che funziona interamente in condizioni terrestri, con gli aspetti superiori ed inferiori pienamente integrati. Benché questo sia facilmente descritto sulla carta, non è così facile realizzarlo nella vita, ma rappresenta l’obiettivo di tutti gli uomini, che essi lo realizzino o meno nell’attuale personalità. Senti, Petros, manca molto al nostro arrivo? Sai, non amo eccessivamente i viaggi in automobile come passeggero…”
“Vorresti guidare un po’? No, no, non te lo lascio fare, con quella energia che hai, finiremmo per trasformare uno spostamento in una corsa… non mi incanti, anche se ho la tentazione di vedere come te la sapresti cavare. Comunque, non manca molto, diciamo un’oretta dalla prossima sosta. Va bene?”
“Al cottage che hai affittato, chi ci preparerà i pasti?”
“Io, nessun’altro che io, carissimo, sono un mago in cucina. Ti faccio dimenticare le squisitezze italiane nel giro di una cena…”
“Non lo metto in dubbio. È questo il posto dove facciamo la sosta?”