Chi ricorda Il nome della rosa di Umberto Eco pensi a padre Jorge da Burgos, che diventa serial killer pur d’occultare un testo di Aristotele sulla commedia, in quanto la risata sarebbe, per il monaco, la nemesi del Cristianesimo, poiché mette in discussione valori ed ordine preesistenti.
Ridere dell’autorità la spoglia di ogni sacralità, denuda il re.
Guglielmo da Baskerville ribatte che è il contrario: ridere è un sentimento caratteristico degli esseri umani, mentre gli animali non ridono. La risata, alleata della conoscenza, serve a «far ridere la verità».
Eppure sia la religione cristiana, dove il riso abbonda sempre nella bocca degli stolti, che una parte della fede musulmana anti-vignette (escludendo lo humour del sufismo), appaiono confessioni in cui l’ironia e la risata sono meno teologicamente centrali.
Per contrapposizione, basti pensare all’importanza della risata nel buddismo, al sapersi prendere in giro insegnato nel Talmud, all’ironia di Confucio, allo yoga della risata indiano, ed ai sacri clown guaritori che appaiono in varie culture, dal Messico al Nepal.
La risata può indagare l’ignoto? E come?
Nel buddismo zen lo humour è soteriologico, porta a salvezza. I maestri zen iniziano i discepoli con scherzi e battute, per liberare la loro mente ed aiutarli a scoprire l’illuminazione. Ridere può distruggere le illusioni e svincolare l’intimità. La scoperta del relativismo apre una visione sulle proprie illusioni. Una volta che si riesce a farsi una risata sulle proprie false prospettive, si apre un collegamento con il tutto.
I buddisti tibetani ridono della propria limitata umanità, sono autoironici sui limiti della propria umanità, di desideri e brame, concetti che, di fronte al divino, nulla appaiono, appunto, risibili.
Il Talmud racconta del profeta Elijah che indica due persone al mercato che avranno una parte del Regno del futuro. Sono i giullari, che rallegrano la gente quand’è triste e fanno far pace tra chi litiga.
Baal Shem Tov, fondatore del Chassidismo diceva: «Lo humour è quella cosa che porta la mente di una persona da un luogo di coscienza costretto a un luogo di coscienza espanso»
Le divinità indù, note per essere tremende, sono spesso giocose. Uno dei test per capire se un guru è un ciarlatano è ascoltare se sa far ridere.
La comicità è uno strumento che aiuta ad affrontare le contraddizioni.
Abbiamo bisogno di certezze e stabilità, ma l’esistenza è imprevedibile e confusa. Lo humour ci mostra come accettare i paradossi, vincendo le incognite con più fiducia, pronti a rivedere tutto.
La comicità nasce quando c’è un cambio di prospettiva assurdo od inaspettato, aprendo le porte al rinnovamento. Il comico ci fa vedere le cose in modo nuovo, costringendo le menti razionali ad uscire dai binari lineari e prevedibili, per studiare un quadro che non vedevano.
Nella risata l’intelligenza si lascia andare, sente un’esplosione creativa dentro sé. È l’effetto dirompente della sorpresa comica. Che si fa spirituale.
Ma la risata può guarire anche il corpo. La sensazione fisica è di esuberanza. Aumenta l’ossigenazione, stimola cuore, polmoni e diaframma, rilascia endorfine nel cervello.
Lo hanno capito anche i sacri clown guaritori delle culture antiche del Messico e dintorni.
Da sempre, il giullare è incaricato di sciogliere la rigidità del mondo per consentire un’eventuale ricostruzione.
Ciò, in Italia, ha avuto chiari riflessi in politica. “Fare lo scemo”, tecnica adottata da presentatori tv di grande popolarità, serve a rivelare verità nascoste, mescolando arguzia e follia.
Nella tradizione dei clown spirituali del Nepal, che girano per i villaggi più sperduti a curare con una risata, i soggetti più dileggiati sono i brahmani, gli asceti che rinunciano alle gioie del mondo, deridono falsità, avidità, bugie ed ingordigia.
È un carnevalesco mundus inversus, nato dall’antica scissione tra potere e religione, ora impegnate a rincorrersi per ritrovarsi.
In alcune società, dove la religione è ancora super struttura, questo paradigma resiste. Per questo i riti religiosi dei pagliacci tribali hanno un potere liberatorio ancor più potente.
I loro imbrogli e lazzi, integrati ai riti, sono vera trasgressione, sacerdoti e governanti sono il bersaglio di riti simbolici, cruciali per comprendere i sistemi religiosi stessi. Sono farse che invertono i riti, mettendo in luce aspetti più oscuri della religione, teatralizzando i conflitti.
Quelli nepalesi sono riti speculari alle cerimonie azteche, l’antropologia della trasgressione. Infrazioni, offese, violenze orgiastiche: performance rituali che ruotano sul perno della risata, per spezzare il sacro, affinché possa rinnovarsi.
Questo è un ruolo sopravvissuto anche nell’Asia degli altopiani, dalla Siberia al Tibet, al Nepal, all’India, dove la risata e l’elemento ludico restano nel rituale. La persona più rispettata, il sacerdote, diventa la più ridicola e reietta: il sacro diventa sacrilegio. Solo così possono tornare ad esser davvero sacri.
Forse è proprio questo antico insegnamento che alcune religioni giudaico-cristiane hanno perso, irrigidendosi, diventando polverosamente stantie oppure violentemente intolleranti. Per evitarlo, basterebbe ricordare che la commedia della vita e della morte sono entrambe divine, in un mondo dove tutti sembrano dover avere un volto, consentono qualche mistero, talvolta, solo un nome.